Una valanga di ricorsi potrebbe piombare sulle Asl e sugli Ospedali. La sentenza n. 7776/2015 Sezione Lavoro della Corte di Cassazione dispone che il pagamento della tassa annuale di iscrizione agli Albi professionali rientra tra i costi per lo svolgimento dell'attività, che, in via normale, devono gravare sull'Ente stesso.
Medici, psicologi, infermieri, assistenti sociali, ostetriche, tecnici di radiologia, biologi, solo per citare i ruoli dirigenziali sanitari e il comparto sanità, potranno valutare se intraprendere azioni di rivalsa sulla Pubblica Amministrazione alla luce di questa sentenza (clicca qui per leggere il testo completo). Intanto si sono già mossi IPASVI e SUNAS, rispettivamente i sindacati di tutela degli infermieri e degli assistenti sociali, che hanno già avviato una consultazione tra i propri iscritti e chiesto formalmente ai dicasteri istituzionali competenti, il recepimento della sentenza della Suprema Corte.
La sentenza della Cassazione emessa ad aprile stabilisce che ogni amministrazione pubblica deve rimborsare ai propri dipendente il contributo di iscrizione annuale all’albo o all’ordine professionale di cui fa parte e che è condizione necessaria per lo svolgimento del suo lavoro. Quindi se un lavoratore iscritto ad un albo o ad un ordine professionale lavora come dipendente in esclusiva per un’amministrazione pubblica, l’Ente che beneficia della prestazione lavorativa è tenuta a rimborsare la relativa tassa di iscrizione, il cui versamento è la condizione necessaria perché il professionista possa continuare ad operare.
La sentenza della cassazione smentisce, dunque, le precedenti interpretazioni rese dalla giurisprudenza della corte dei conti e conferma il parere del consiglio di Stato del 15 marzo 2011 in cui si affermava che quando, sussista il vincolo di esclusività, l’iscrizione all’albo è funzionale allo svolgimento di un’attività professionale svolta nell’ambito di una prestazione di lavoro dipendente e quindi la relativa tassa deve gravare sull’Ente che beneficia in via esclusiva dei risultati di detta attività. La sentenza stabilisce che al dipendente in questione devono essere rimborsate tutte le tasse versate da quando era impiegato, nel caso in questione, all’ufficio legale dell’istituto.
Secondo i sindacati, la sentenza ha una portata molto ampia e potrebbe essere applicata anche alle Asl: anche se la sentenza riguarda espressamente la professione forense i principi giuridici contenuti nella sentenza appaiono estensibili anche alle professione sanitarie. Al riguardo è fondamentale l’esclusività del rapporto che lega il dipendente all’amministrazione, come previsto per chi lavora in Asl: l’opera professionale risulta garantita nell’ambito della subordinazione, quindi la tassa annuale da pagare all’ordine rientra fra i costi per lo svolgimento dell’attività e deve dunque gravare sull’ente datore, che è l’unico beneficiario delle prestazioni. Anche perché la quota annuale per l’iscrizione all’albo non può ritenersi riconducibile alla retribuzione visto che ha un regime tributario incompatibile con le spese sostenute nell’interesse della persona come ad esempio quelle per gli studi universitari e per l’acquisizione dell’abilitazione professionale.
La Cisl-Fp di Savona, tra i primi sindacati medici a mobilitarsi, ha subito inviato una lettera alla direzione generale dell’Asl chiedendo di “accollarsi il costo annuale della quota di iscrizione di tutte le professioni sanitarie ai vari collegi e ordini”. “E’ probabile – spiega Giovanni Oliveri delegato del sindacato – che l’Azienda ribalterà la questione a livello regionale. Purtroppo le sentenze della cassazione non fanno legge, ma servono soltanto da orientamento. In ogni caso, in base alla risposta che ci verrà data valuteremo il da farsi, compresa l’opportunità di attivare una vertenza collettiva o individuale”.
Fonte:dottnet
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